corso del popolo


Sai cos’è che mi manca, questa sera? Sembra strano, e non è niente di speciale.

Mi manca camminare per il Corso alle due di notte, dopo aver dormito un po’ sul tuo letto mentre voi eravate in salotto a vedere per la ventunesima volta Zoolander, oppure giocavate di ruolo e io non gliela facevo più, oppure avevate improvvisato una LAN tra le poltrone e sparavate ai crucchi nel ‘44. Mi manca la tua cucina che guarda tutto il mondo, da lassù: così in alto che il sapore del mondo addolcisce un poco quello di Mestre, e a momenti sembra di vivere in una città davvero bella. Mi mancano le cose piccole, tipo leggersi le peggiori riviste d’informatica nell’estate del ‘99, e mi manca metterti a dormire quando il Casi è morto, ché eravamo tutti arsi e ci preoccupavamo per te. Quella volta che ho litigato con mio padre e ho dormito sul tuo fottuto letto Ikea, scomodo come non mai, e poi son tornato a casa ed erano le sei e mio padre era stato tutto il tempo ad aspettarmi. Persino quella volta che ti sei scopato la mia ex, mi manca, e non ti ho voluto vedere per qualche mese perché se ti avessi visto – giuro, se ti avessi visto ti avrei davvero spaccato la faccia. Mi manca tornare a casa alle due di notte, o più tardi, dopo una serata a fare niente, e sentire il rumore del nulla lungo il Corso, solo i miei passi lungo i portici fascisti squadrati, e guardare in strada e vedere, ogni tanto, qualche autobus o qualche macchina, poche persone che camminavano con me, il neon rosso con l’ora e la data, e la temperatura, dell’edicola davanti al mio palazzo, e girare l’angolo ed essere ovunque – ovunque del mio universo: con una strada si raggiungevano tre o quattro amici, e un po’ più in là abitavo io. Mi manca Mestre alle due di notte, quando non c’erano ancora i chioschi di kebab: adesso ci vado troppo spesso, e la città è meno vuota, meno sola, e mi sento più vecchio.