A Paolo Zardi gli amici di Neo•Edizioni han pubblicato un libro di racconti. Si intitola Antropometria. Paolo Zardi è un amico, e tra l’altro ha anche scritto una recensione più che positiva al mio È tutto qui.
Allora, premesso che Paolo è un mio amico, e che è di Padova, mentre io son di Venezia; premesso che sono ben cosciente del fatto che c’è il rischio del pompino reciproco, soprattutto dopo po’ po’ di recensione; allora, premesso questo sappi che Paolo scrive benissimo. Di più: che il libro in cui sono contenuti i racconti di Paolo è un oggetto davvero carino, e bello (i ragazzi della Neo• fanno proprio dei begli oggettini!), e ben curato.
Ci sono due cose che non mi sono piaciute: uno, il font usato nel libro (è Garamond, vero?), perché mi sembra rubasse un po’ della forza delle parole, ma è che mi sono s-passionato al Garamond da molti anni. (Ammesso e non concesso che sia Garamond, quello.) Il secondo momento in cui qualcosa m’è stonato, e son cosciente del fatto ch’è una questione squisitamente tecnica, sono i dialoghi tra i personaggi, che usano uno stile a mio gusto irreale: la gente difficilmente parla così. È come se in certi racconti, in certi passaggi di certi racconti, si fermi la narrazione, cali il sipario, e un riflettore da 6mila incornici il narratore. C’è proprio un’aura da “adesso ciappati ‘sto spiegone”, come succede in certi film: i dialoghi non servono più a portare avanti la storia, ma te la spiegano, o ti spiegano qualcosa che sta a cuore a chi parla/narra. Non succede ovunque, sennò la lettura verrebbe appesantita in maniera straziante e io metà libro me la sono mangiata in un’oretta di treno: scorre bene, eh. Perché Paolo scrive benissimo (cit. MS, poco fa). Però io sono molto sensibile ai dialoghi, e so ch’è una personalissima tara mentale mia, quella di far loro pelo e contropelo: il che spiega anche perché spesso accantono miei racconti perché hanno dei dialoghi che nella vita vera non sentiresti.
Poi un paio di racconti proprio non mi son piaciuti, ma lì si scende nei gusti personali e possiamo fare la guerra finché vogliamo, ma io ritengo D’Annunzio un mentecatto e magari tu no, e non se ne esce vivi se iniziamo con una discussione così sui racconti di Paolo. Però lo stile costruisce un’atmosfera e una tensione fortissime, roba da lasciarti stecchito; non passa inosservato e ti rimane qualcosa che sciaborda lento, dentro, prima che tu abbia assimilato tutto fino in fondo.
Come esordio, maledetto padovano, tanto di cappello.