All’una e mezzo in giro per Mestre non c’è troppa gente, e quando c’è non sai mai bene cosa aspettarti. Qualche settimana fa c’è stato un pestaggio che sembrava preso da quei film che le nonne ci dicevano di non guardare, che poi impari a tirare i cazzotti anziché rispondere, e a sputare alla gente anziché parlare: la cosa che mi ha colpito è che è successo grossomodo sotto casa di mia madre.
Mia madre, anni fa, trovò un bell’appartamento, palazzo di inizi ‘900, che dà su un angolo di strada che da sempre, e per sempre, è centro: il centro di Mestre. A un passo, davvero, dalla piazza (Piazza Ferretto: è intitolata a un partigiano nato qui), a un altro passo da piazza Barche (piazza XXVII ottobre, che noi chiamiamo Piazza Barche perché non ci siamo mai dimenticati che c’erano le barche, e c’era l’acqua, ed eravamo più vicini a Venezia di quanto lo siamo mai stati in seguito). Centro che più centro non si può, insomma: e lo so che non ha poi troppo senso parlare di centro e periferia quando si parla di «una città che si attraversa in venti minuti da una parte a quell’altra»: però c’è poco da fare, dove sta mia madre è centro e fine.
Qualche settimana fa c’è stato un brutale pestaggio da parte di un gruppo di ragazzi. Roba che non pensavo, che non mi sarei mai aspettato dalla mia città. Perché siamo scemi, perché siamo abbonati all’approssimazione, perché siamo tante cose ma non avrei mai pensato che fossimo anche gente che può picchiare un signore di sessant’anni così, tanto perché ci salta la mosca al naso.
Così adesso ogni volta che penso a mia madre sola e sto a Milano (che non è certo l’Eden, ma ho trent’anni, e poi son maschio, e cristomadonna, stiamo parlando di mia madre), un po’ di tensione la sento, che mi scende per le gambe. Mi tremano le braccia, un poco. Non va bene.
La notte scorsa mi han fermato due, una coppia, mi hanno chiesto dov’era possibile mangiare qualcosa. A Mestre, il lunedì sera: che da sempre è il giorno in cui bar e pub son chiusi. Avevano una mezza intenzione di andare al bingo (auguri), giusto per mangiare un toast o qualcosa di simile, penso. Gli ho consigliato il kebab di Corso del Popolo: che quando ci vivevo ci andavo spesso e, cristo, è davvero buono. Loro erano simpatici e sorridevano, e mi son piaciuti.
Poi non so se hanno provato il kebab o sono andati al bingo, non so se son tornati a casa loro, poi (dall’accento sembravano di Chioggia o di lì vicino). Però mi è sembrata una cosa meravigliosa, un incontro di quelli che quando ti capitano poi stai bene. Non un momento da i bei tempi andati, che mia madre mi raccontava che prima che nascessi la situazione era talmente brutta che lasciava una banconota da 50mila lire sotto lo zerbino e un cartello sulla porta, «Prendete quella che altro non abbiamo», e non ho mai capito se era una storia dell’orrore oppure era vera, ma me la porto ancora dietro, e sticazzi ai bei tempi andati. Ma stanotte, be’, stanotte è stato un incontro talmente piccolo e insignificante e bello, che son contento di aver vissuto fino a oggi per averlo visto succedere davanti ai miei occhi, con me protagonista.