In questo post esprimo tre cose: la prima è una rettifica, almeno parziale, a quanto espresso qui diversi mesi fa; la seconda un tentativo di astrazione dalle proprie abitudini e necessità per cercare di capire gli altri; e siccome il riferimento della prima e della seconda cosa è molto specifico e preciso, ce n’è di mezzo una terza che riguarda il futuro.
Quando è scoppiata la pandemia in Italia, come in molti posti del mondo, alcune case di produzione e di distribuzione cinematografiche hanno messo a noleggio, sotto forma di file digitale, alcuni dei titoli che avrebbero dovuto uscire in sala. A marzo ero ferocemente contrario a questa mossa, soprattutto perché il noleggio di questi film veniva a costare quanto un acquisto del titolo stesso (in digitale, intendo), e mi sembrava un controsenso: anziché noleggiarlo, piuttosto me lo compro. Nel corso dei mesi ho cambiato idea, nel merito, anche perché la finestra di noleggio è relativamente limitata, quindi assomiglia abbastanza da vicino a un’uscita in sala (senza, ovviamente, la sala). In più, spesso e volentieri è anche più conveniente del biglietto del cinema, soprattutto per i nuclei famigliari (dalla coppia alla famiglia con tre figli). Insomma, non sono più critico e negativo come sei mesi fa, e per molte persone non è mai stato un problema: Mulan, uscito esclusivamente a pagamento su Disney+, ha fatto incassare a Disney almeno 260 milioni di dollari, soltanto negli Stati Uniti. A dicembre entrerà nel catalogo del servizio di streaming con le orecchie da topo, quindi disponibile a tutti gli iscritti, non a chi ha pagato la cifra extra per poterlo vedere in anteprima, quindi in qualche maniera verrà ammortizzando dai pagamenti mensili di tutti, ma non so come funziona a questi livelli.
Rimaniamo nei proventi del noleggio. Ipotizzo, ai fini di questo articolo, che con gli incassi esteri siano arrivati almeno a 350 milioni. E sempre per i ragionamenti di questo pezzo, per il momento ignoriamo i quasi 60 milioni di dollari incassati al cinema, dove al cinema il film è finito e la gente l’ha potuto vedere.
Per parlare di quello che voglio parlare veramente è necessaria una premessa tecnica. Non è tanto che magari non sei a tuo agio con i discorsi di produzione cinematografica: è che spessissimo tutti noi non badiamo ad alcuni aspetti di una filiera produttiva, non ultimo il fatto che della cifra pagata da te al produttore originario arriva una piccola parte (a meno che produttore e distributore non coincidano). Quindi, ripasso per tutti.
Normalmente per un film succede che al budget di produzione (in questo caso, 200 milioni) si debbano aggiungere un numero di tonnellate di dollari a seconda del tipo di film: per un blockbuster costosissimo verranno investiti davvero tanti soldi, per promuoverlo in tutti i modi possibili ed immaginabili: si può arrivare anche a cifre vicine a quelle del budget di produzione. Non basta quindi guadagnare tanto quanto si ha speso, bisogna rientrare dei costi promozionali.
E dal momento che il grosso dei soldi un film lo fa al cinema, conta tantissimo il guadagno del film al botteghino. Il busillis, è facile capirlo, è che gli incassi di cui si parla sempre («Il film Tal dei tali ha fatto 20 milioni di euro nel finesettimana di apertura!») sono decisamente lordi: riguardano quanto abbiamo speso noi che siamo andati a vedere il film. A quella cifra va tolta la percentuale spettante per la sala in cui ho visto il cinema, l’eventuale parte che va al distributore (se non è lo stesso studio di produzione ad avere un braccio distributivo), e le immancabili tasse. È facile capire come, per un film da 200 milioni di dollari di bugdget, un incasso al di sotto dei 500, 600 milioni significa sì rientrare delle spese, ma poco altro. Certo in un caso simile la produzione non è stata una perdita secca, ma i guadagni veri non ci sono stati.
Wikipedia dice che Mulan ha avuto un budget di 200 milioni. Mettiamocene su altrettanti di pubblicità (è una cifra a caso, non ne ho idea, ma visto che il battage pubblicitario è stato internazionale, probabilmente mondiale, credo che possa essere realisticamente usata per fare i conti della serva di questo post). Secondo i dati e le stime di un’agenzia di analisi finanziarie Mulan ha incassato circa 261 milioni di dollari tra il 4 e il 12 settembre, su Disney+. Il film rimarrà a ‘noleggio perpetuo’ fino a dicembre, quando verrà messo in streaming per tutta l’utenza di Disney+. Mi spingerei a dire che dal 12 settembre a oggi ha raggranellati altri 40 milioni, e dal momento che questa stima è fatta soltanto per gli Stati Uniti, io ci butterei dentro altri cinquanta milioni per i mercati esteri. Di questi soldi però devi togliere fondamentalmente soltanto le tasse, perché non c’è più una catena distributiva: Disney+ è Disney, cioè chi ha investito per la realizzazione del film.
La scommessa vinta e la relativa delusione invece degli incassi di un filmone su cui si puntava moltissimo per il sostentamento delle sale cinematografiche, cioè Tenet di Christopher Nolan, apre scenari inquietanti per molti, riguardo il futuro delle sale cinematografiche, e questo al netto della pandemia e del fatto che i cinema sono chiusi o a regime ridotto in tantissimi mercati. Ovvero: stiamo assistendo alla morte del concetto di sala cinematografica.
Sarò cinico, però a me questi scenari non spaventano né intristiscono: credo fermamente che per le sale sia iniziato un percorso che le porteranno a una posizione simile a quella del vinile oggi, cioè di nicchia (e tra l’altro anche una nicchia economicamente capace di sostenerla), ma che per il grande pubblico il cinema non è più il cinema in sala, e da mo’. Io non lo vedo come un problema, ma è il caso di spiegare ora il titolo di questo post.
Quella del “job to be done” è una teoria economica (che ha ovviamente ripercussioni in tutti gli altri campi umani) che cerco di applicare sempre, nel mio piccolo e conoscendone soltanto una versione da bignami. È relativamente facile da spiegare: si interroga sul motivo per il quale un determinato oggetto o servizio viene ingaggiato dalla maggioranza dei suoi utenti. Ingaggiato proprio nel senso di: assumere qualcuno, solo che non è qualcuno, è qualcosa. Per cosa mi potrei comprare un’auto? Per spostarmi tra la città in cui vivo e quella in cui risiede invece la mia famiglia, per esempio. Per cosa mi potrei comprare un computer molto potente? Per poter ottenere mp3 in tempi molto più rapidi di oggi, riducendo in parte il tempo del mio lavoro (parlo del mio caso). E via andare.
Non c’è da dirlo, ma questa teoria non esclude gli amanti di un determinato oggetto o servizio che non vogliono scendere al di sotto di una certa soglia di qualità. Chi può permettersi un’auto di lusso e vuole un’auto di lusso, per i più svariati motivi, si accompagna all’utenza media di cui parlavo prima. Quello cui piace mettere le mani nelle viscere di un computer continuerà a comprare un certo tipo di calcolatore: per tutti gli altri spesso basta un tablet.
Per cosa si guarda un film? Per la maggior parte delle persone è per svagarsi, per passare un’ora e mezza in allegria o comunque lontano dalle attività quotidiane. Anche un film cosiddetto impegnato può essere uno svago, eh, in un certo senso: quindi non sto parlando di gente che vuole vedere esclusivamente Natale con la Casta come nel film di Boris. Per questo tipo di utenza la sala cinematografica è una cosa accessoria, è comoda quando ti permette una varietà di scelta (come nei multisala) e l’accesso immediato alle novità. Che l’impianto, soprattutto quello audio, sia una ciofeca e che lo schermo non sia di qualità eccellente non gliene frega una beata ceppa, a questo tipo di utenza. E onestamente li capisco: a me delle birre artigianali non me ne frega una beata ceppa: quando ordino una birra in un posto che non conosco o di cui non conosco i prodotti chiedo sempre «una birra bionda beverina all’inglese o alla tedesca», una roba che posso mandare giù senza pensarci. Certo riesco ad apprezzare una birra più strutturata e ricercata, ma non è il mio: sono disposto ad assaggiare cose strane (e pagarne le conseguenze economiche) se parlassimo di vodka, per esempio.
Pertanto io capisco benissimo l’utenza che ha speso una trentina di dollari per ‘noleggiare’ Mulan su Disney+, perché per loro l’esperienza della sala non è dirimente, e posso capirli. Sono molto fortunato, essendo un abitante di Milano, perché in città ci sono diversi buoni cinema (la catena Anteo, per esempio, è ottima per la qualità della selezione e per la qualità degli impianti audio e video, ma uno dei cinema l’hanno ristrutturato pochi anni fa, l’altro è stato costruito ex-novo col complesso di CityLife, quindi in un certo senso: facile che abbiano degli ottimi impianti). E se proprio voglio godere tantissimo posso prendere un treno e in un quarto d’ora essere a Melzo e vedere un film all’Arcadia, che ha all’interno una delle migliori sale d’Europa. Allo stesso modo sopporto poco il cinema all’aperto, perché è scomodo da diversi punti di vista.
Per le persone come me, per le quali un buon supporto conta aiuta a godere di un contenuto, la sala cinematografica vincerà sempre, quando c’è questa possibilità. Probabilmente anche per “tutti gli altri”, se ci fosse sempre un cinema come l’Anteo o l’Arcadia a disposizione. Ma quando i cinema sono scarsi o non valgono la pena (io per esempio mi rifiuto di andare al cinema allo Space, in Duomo, a meno che non sia l’unica e l’ultima possibilità), per me in primis lo streaming vince. Ho un televisore relativamente piccolo ma di buona qualità e un’ottima soundbar Bose, ma alla bisogna guardo i film anche al telefono.
E quindi è la morte del cinema? Boh, non lo so, non credo proprio. Ma a volte mi pare che la gente si dimentichi come il cinema abbia poco più di cento anni, e che le cose per altri mezzi si siano evolute moltissimo, dai primi cento anni a oggi (ciao, libro, ti sto indicando). Forse quello della sala cinematografica era una parte della strada che il cinema, come forma d’arte, doveva percorrere, e che domani non servirà più, perché i motivi per cui “assumeremo” un film saranno i medesimi ma i mezzi differenti, e probabilmente sale di qualità rimarranno aperte. Onestamente: sono curioso del futuro.